e mi e' tornato in mente il mio incontro con Chingu Kim*, il cugino coreano di Montezuma.
Erano i nostri ultimi giorni in Corea, le nostre poche cose erano gia' state impacchettate e spedite, avevamo giusto quello che riuscivamo a far stare in valigia e nel bagaglio a mano. Io avrei preso un volo per l'Italia e mio marito uno per gli Stati Uniti, i biglietti erano pronti e aspettavamo solo il giorno X.
La segretaria di mio marito, Mrs. Youn, una gentile donna coreana di mezza eta', aveva invitato a cena noi e il chief che lavorava con loro. Invece di andare al solito ristorante coreano occidentalizzato per i turisti lei ci avrebbe portato in uno a conduzione familiare e frequentato esclusivamente dai locali, un po' fuorimano ma degno di qualche kilometro extra proprio per via dell'autentica cucina coreana.
Dopo la cena perfetta, io non mangio carne e per me al posto del bulgogi avevano portato una frittata, c'e' stato il classico scambio di doni tra i commensali, le foto in pose sciocche, le promesse di mantenere i contatti in eterno, e poi ognuno e' tornato a casa propria.
La mattina successiva mi sono svegliata con un leggero malessere e dei crampetti allo stomaco, "Sara' il kimchi, non sono abituata alle spezie forti," pensavo io. Piu' le ore passavano piu' il malessere aumentava. Visto che ormai nel micro appartamento non avevamo piu' nulla di commestibile, io e il gentiluomo andiamo a mangiare fuori. "Fermiamoci in qualche posto occidentale che non voglio nulla di piccante, sto gia' sudando di mio e non mi sento tanto bene." Il primo posto che troviamo e' Burger King, io ordino un fish sandwich e il gentiluomo qualche altra schifezza, mentre lui mangia la nausea che mi colpisce ad ondate ritmiche mi fa arrendere dopo pochi morsi.
Mi sveglio nel cuore della notte in un bagno di sudore, con una forte nausea, crampi, e la mia pancia che produceva degli strani rumori. Abitavamo in un micro appartamento e il bagno ne era la piu' palese rappresentazione, la distanza tra la vasca e il gabinetto era di circa dieci centimetri. Mi alzo dal letto con scatto felino (vabbe' lasciamo perdere) e faccio giusto in tempo ad arrivare al bagno che il contenuto mio stomaco si riversa nella vasca. Una cosa che mi ha stupito e' stato che quello che non usciva da una parte veniva fuori dall'altra.
Contemporaneamente.
Questi coreani ne sanno una piu' del diavolo, non sono mai stata cosi' felice di avere il gabinetto cosi' vicino alla vasca!
Non ero un bello spettacolo, in particolare per una neosposa. Ero ancora nella fase in cui lui girava per la casa in boxer e calzini o andava tranquillamente in bagno con la porta aperta (uomini, tutta un'altra specie!), mentre io cercavo di convincerlo del mio status di creatura perfetta.
Il bisogno di aiuto vince sulla situazione imbarazzante forzandomi a chiamarlo. "Da... Daa... aaarghh... heeelp..." Niente, non sentiva, dormiva profondamente. Non avevo la forza di urlare il suo nome e provavo a svegliarlo battendo il pugno sul muro, come ho gia' detto l'appartamento era piccolissimo e il bagno aveva il muro in comune con la camera da letto. Dopo numerosi tentativi mi sente, entra e mi trova sdraiata a terra, non riuscivo nemmeno a stare seduta, cercava di rimettermi a sedere e io, teatrale come non mai, gli dicevo che era arrivata la mia ora. "Io muoio, addio..."
Il viaggio di ritorno e' stato un incubo, lui ha preso un aereo per gli Usa, io ne dovevo prendere tre per raggiungere la mia destinazione.
Il primo volo da Seoul a Zurigo l'ho quasi completamente trascorso in bagno, andavo e tornavo, alla fine non mi importava che il pavimento fosse allagato dalla pipi' dell'anziano che si contendeva il bagno con me, tantomeno della gamba dei miei pantaloni, scarpa e piede (indossavo scarpe aperte) incollati dal succo di frutta che la bambina seduta a fianco a me mi aveva rovesciato addosso.
Mi ero anche rassegnata all'idea della morte imminente e ripensavo romanticamente a quando da piccola andavo ogni settimana in "gita" al cimitero con mia nonna. Leggevo le lapidi ed ero intrigata dalle persone nate nella mia citta' o dintorni e morte in qualche luogo per me esotico. Mi chiedevo cosa ci facessero in quelle citta' lontane e mi domandavo se qualche bambino avrebbe pensato la stessa cosa leggendo la mia lapide.
Dell'aeroporto di Zurigo ricordo solo il bagno e il mio zaino pesantissimo. Era prima dell'11 Settembre 2001 quindi non c'erano restrizioni sul contenuto dei bagagli e io avevo avuto la bella pensata di riempirlo di lattine di prodotti alimentari non europei da far provare ai miei amici. Carica come un mulo, febbricitante e stanca, alla fine sono crollata dal sonno sul volo che mi avrebbe fatta arrivare a Roma.
Un altro volo e sarei arrivata a casa.
Una volta toccato il suolo cagliaritano il mio spirito era energizzato ma il mio aspetto era terribile. Ero vestita di nero, avevo le occhiaie fino alle ginocchia, la faccia pallida e i capelli incollati al cranio, sembravo una "cugurra" (per i non sardi: un essere foriero di ielle).
Sentivo addosso lo sguardo delle persone e non mi avrebbe stupito vedere qualcuno
Il tizio del controllo bagagli, impietosito dal mio aspetto, ha lasciato che entrasse una delle mie sorelle ad aiutarmi con le valigie, poi mentre mi allontanavo mi ha urlato "Signorina, signorinaaa, provi con una bella spremuta di limone!"
* Ho deciso di chiamare Chingu Kim il corrispettivo coreano di Montezuma perche' la parola chingu
significa amico e kim e' un cognome diffusissimo in Corea.
Al corso di cultura coreana il mio insegnante scherzava sul fatto che se in Corea, ad un raduno di centinaia di persone si lanciasse una pietra, sicuramente si colpirebbe una persona che di cognome fa Kim o Park.