Tuesday, May 21, 2013

Il cugino coreano di Montezuma

Leggevo le avventure di Silvia in Chiapas http://ninehoursofseparation.blogspot.com/2013/05/chiapas-un-viaggio-semiserio4-un.html
e mi e' tornato in mente il mio incontro con Chingu Kim*, il cugino coreano di Montezuma.

Erano i nostri ultimi giorni in Corea, le nostre poche cose erano gia' state impacchettate e spedite, avevamo giusto quello che riuscivamo a far stare in valigia e nel bagaglio a mano. Io avrei preso un volo per l'Italia e mio marito uno per gli Stati Uniti, i biglietti erano pronti e aspettavamo solo il giorno X.
La segretaria di mio marito, Mrs. Youn, una gentile donna coreana di mezza eta', aveva invitato a cena noi e il chief che lavorava con loro. Invece di andare al solito ristorante coreano occidentalizzato per i turisti lei ci avrebbe portato in uno a conduzione familiare e frequentato esclusivamente dai locali, un po' fuorimano ma degno di qualche kilometro extra proprio per via dell'autentica cucina coreana. 
Dopo la cena perfetta, io non mangio carne e per me al posto del bulgogi avevano portato una frittata, c'e' stato il classico scambio di doni tra i commensali, le foto in pose sciocche, le promesse di mantenere i contatti in eterno, e poi ognuno e' tornato a casa propria.

La mattina successiva mi sono svegliata con un leggero malessere e dei crampetti allo stomaco, "Sara' il kimchi, non sono abituata alle spezie forti," pensavo io.  Piu' le ore passavano piu' il malessere aumentava.  Visto che ormai nel micro appartamento non avevamo piu' nulla di commestibile, io e il gentiluomo andiamo a mangiare fuori. "Fermiamoci in qualche posto occidentale che non voglio nulla di piccante, sto gia' sudando di mio e non mi sento tanto bene."  Il primo posto che troviamo e' Burger King, io ordino un fish sandwich e il gentiluomo qualche altra schifezza, mentre lui mangia la nausea che mi colpisce ad ondate ritmiche mi fa arrendere dopo pochi morsi.

Mi sveglio nel cuore della notte in un bagno di sudore, con una forte nausea, crampi, e la mia pancia che produceva degli strani rumori.  Abitavamo in un micro appartamento e il bagno ne era la piu' palese rappresentazione, la distanza tra la vasca e il gabinetto era di circa dieci centimetri. Mi alzo dal letto con scatto felino (vabbe' lasciamo perdere) e faccio giusto in tempo ad arrivare al bagno che il contenuto mio stomaco si riversa nella vasca. Una cosa che mi ha stupito e' stato che quello che non usciva da una parte veniva fuori dall'altra. 
Contemporaneamente.
Questi coreani ne sanno una piu' del diavolo, non sono mai stata cosi' felice di avere il gabinetto cosi' vicino alla vasca!
Non ero un bello spettacolo, in particolare per una neosposa. Ero ancora nella fase in cui lui girava per la casa in boxer e calzini o andava tranquillamente in bagno con la porta aperta (uomini, tutta un'altra specie!), mentre io cercavo di convincerlo del mio status di creatura perfetta.
Il bisogno di aiuto vince sulla situazione imbarazzante forzandomi a chiamarlo. "Da... Daa... aaarghh... heeelp..."  Niente, non sentiva, dormiva profondamente. Non avevo la forza di urlare il suo nome e provavo a svegliarlo battendo il pugno sul muro, come ho gia' detto l'appartamento era piccolissimo e il bagno aveva il muro in comune con la camera da letto. Dopo numerosi tentativi mi sente, entra e mi trova sdraiata a terra, non riuscivo nemmeno a stare seduta, cercava di rimettermi a sedere e io, teatrale come non mai, gli dicevo che era arrivata la mia ora.  "Io muoio, addio..."

Il viaggio di ritorno e' stato un incubo, lui ha preso un aereo per gli Usa, io ne dovevo prendere tre per raggiungere la mia destinazione.
Il primo volo da Seoul a Zurigo l'ho quasi completamente trascorso in bagno, andavo e tornavo, alla fine non mi importava che il pavimento fosse allagato dalla pipi' dell'anziano che si contendeva il bagno con me, tantomeno della gamba dei miei pantaloni, scarpa e piede (indossavo scarpe aperte) incollati dal succo di frutta che la bambina seduta a fianco a me mi aveva rovesciato addosso. 
Mi ero anche rassegnata all'idea della morte imminente e ripensavo romanticamente a quando da piccola andavo ogni settimana in "gita" al cimitero con mia nonna. Leggevo le lapidi ed ero intrigata dalle persone nate nella mia citta' o dintorni e morte in qualche luogo per me esotico. Mi chiedevo cosa ci facessero in quelle citta' lontane e mi domandavo se qualche bambino avrebbe pensato la stessa cosa leggendo la mia lapide. 

Dell'aeroporto di Zurigo ricordo solo il bagno e il mio zaino pesantissimo. Era prima dell'11 Settembre 2001 quindi non c'erano restrizioni sul contenuto dei bagagli e io avevo avuto la bella pensata di riempirlo di lattine di prodotti alimentari non europei da far provare ai miei amici. Carica come un mulo, febbricitante e stanca, alla fine sono crollata dal sonno sul volo che mi avrebbe fatta arrivare a Roma.
Un altro volo e sarei arrivata a casa. 

Una volta toccato il suolo cagliaritano il mio spirito era energizzato ma il mio aspetto era terribile. Ero vestita di nero, avevo le occhiaie fino alle ginocchia, la faccia pallida e i capelli incollati al cranio, sembravo una "cugurra" (per i non sardi: un essere foriero di ielle). 
Sentivo addosso lo sguardo delle persone e non mi avrebbe stupito vedere qualcuno toccarsi le pal fare gesti apotropaici al mio passaggio.
Il tizio del controllo bagagli, impietosito dal mio aspetto, ha lasciato che entrasse una delle mie sorelle ad aiutarmi con le valigie, poi mentre mi allontanavo mi ha urlato "Signorina, signorinaaa, provi con una bella spremuta di limone!"



* Ho deciso di chiamare Chingu Kim il corrispettivo coreano di Montezuma perche' la parola chingu
significa amico e kim e' un cognome diffusissimo in Corea.

Al corso di cultura coreana il mio insegnante scherzava sul fatto che se in Corea, ad un raduno di centinaia di persone si lanciasse una pietra, sicuramente si colpirebbe una persona che di cognome fa Kim o Park.

Saturday, May 11, 2013

Wednesday, May 1, 2013

Adios amiga

Questa mattina mentre uscivo dalla doccia ha squillato il telefono, era una delle sorelle della mia amica, e' venuta a mancare durante la notte.
Ieri a quest'ora io e un'altra mia amica eravamo con lei a massaggiarle i piedi e a darle pezzetti di ghiaccio da masticare, oggi non c'e' piu'.
E' una brutta cosa da dire ma e' meglio cosi', stava patendo delle sofferenze fisiche indicibili. Oltre a quello, che certamente non e' poco, non era serena, anche con lo stupore da morfina continuava ad essere preoccupata per il conto che avrebbe mandato l'assicurazione.
Qualche giorno fa, quando ho visto che pur avendo difficolta' a parlare, spaventata dall'idea di lasciare un grosso debito da pagare alla sua famiglia continuava a ripetere "1600 dollari al giorno",  ho deciso di mentire.
Sono uscita dalla stanza e l'ho lasciata con la mia amica, quando sono rientrata le ho detto di avere parlato con le infermiere e con l'assicurazione, tutto era risolto, avrebbe dovuto pagare solo tra i 12 e i 25 dollari al giorno. Sapevo che quelle cifre le sarebbero suonate familiari, erano la sua solita copay durante le visite specialistiche. Il mio trucco ha funzionato, ha accennato un sorriso e si e' calmata.
Starle vicina e' stata una dura prova per me, non solo perche' era una mia amica o perche' vedere una persona che sta male e' difficile per tutti, io ho altri due motivi.
Per prima cosa mi identificavo in lei, ha, aveva, un anno in piu' di me e suo figlio ha un anno in piu' del mio, tutte e due abbiamo provato l'ebbrezza della chemio con i suoi annessi e connessi, e immaginarmi nella stessa situazione mi creava un leggero panico che cercavo di sopprimere mantenendo una calma quasi zen.
La seconda motivazione e' stata una forma del cosidetto survivor guilt, il senso di colpa di chi e' sopravvissuto.  Mi chiedevo se la mia compagnia le creasse disagio, ogni volta che qualcuno menzionava che ero un cancer survivor mi sentivo come un pugno dritto allo stomaco.
Le mie ataviche debolezze sono venute fuori, forse perche' nata e cresciuta nel bacino del Mediterraneo, oltre alla possibilita' di una forma specifica di anemia noi nati in quelle zone nel dna ci portiamo il retaggio del malocchio e dei pensieri negativi.  Pur non credendoci, io normalmente credo al potere del pensiero positivo, mi sono ritrovata a pensare che forse me la stessi tirando. La mentalita' superstiziosa del "Non e' vero ma ci credo" ogni tanto faceva capolino tra i miei pensieri e dettava alcune mie azioni. Non ho mai bevuto una goccia d'acqua o mangiato una briciola in quell'ospedale, eppure ci trascorrevo ore ed ore, non volevo nemmeno poggiare la mia borsa tranne che in quei momenti in cui la razionalita' ritornava e riprendeva in mano la situazione.

Dopo aver cercato di metabolizzare l'accaduto, questa mattina mi sono vestita e sono uscita. Ho detto basta ai pensieri tristi, ho bisogno di vedere bellezza intorno a me, nella peggiore delle ipotesi faro' ricorso alla ricerca di cose stupide e superficiali.
Ho comprato il giornale di Martha Stewart, Weddings. Ha tante foto di fiori e giardini, di dolci e torte nuziali, vediamo se funziona.